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Il 31 marzo, anniversario del terribile eccidio, il Generale per le tristi condizioni di salute non potè assistere alla grande cerimonia: e l'indomani suo figlio Menotti alla folla radunata sotto le sue finestre, leggeva un'addio affettuoso del padre, nel quale si protestava figlio di Palermo, e il 17 aprile sul Cristoforo Colombo ripartiva per Caprera.
Tra l'aprile e il maggio lo stato di salute del Generale erasi fatto più grave, e la notte del 1° giugno i telegrammi si correvano l'uno dietro l'altro. Garibaldi è aggravato, Garibaldi è moribondo!
Nelle prime ore del mattino del 2 giugno lo stato del Generale appariva disperato, il respiro diveniva sempre più lento ed affannoso, e si vedeva che il terribile momento della sua scomparsa dal mondo era pur troppo vicino. Da Menotti furono mandati avvisi telegrafici a Canzio ed a Ricciotti. Fu pure telegrafato al dottore Albanese; ma ormai non poteva più giungere a tempo.
L'abbandono delle forze faceva a tutti comprendere che la catastrofe era imminente. Egli si spegneva tranquillo; solo si vedeva che avrebbe desiderato la consolante notizia dell'arrivo del dottore Albanese, di Ricciotti, di Canzio e Teresita.
Nel meriggio - due capinere vennero a posarsi sul balcone aperto della camera del Generale, cinguettando - La moglie signora Francesca, temendo disturbassero l'ammalato fece un gesto per allontanarle; ma il Generale con un fil di voce soave, sussurrò(157): "lasciatele stare, sono forse le anime delle mie due bambine che mi portano l'ultimo saluto.
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