Dopo il mezzogiorno fra le truppe del Dabormida e le scioane sul fronte d'Adua si ravvivava la fucilata; la nostra artiglieria si era piazzata sullo sprone delle alture dei tucül. Ad ogni colpo di Shrapnel si scorgeva un rapido sbandarsi degli scioani attraverso le roccie e i rovi; quelli diretti verso lo sbocco della vallata facevano solchi profondi nelle folte colonne nemiche, coperte da alta erba. Il colonnello Airaghi rompe gl'indugi; alla testa del suo reggimento lancia le truppe nel piano ad un primo poi ad un secondo assalto; ed il colonnello Ragni che dal mattino si è trovato sulla linea del fuoco, appoggia gli sforzi del suo collega, quantunque gli aspri fianchi delle alture da dove combatte, gli renda impossibile di mandare avvisi e ricevere ordini.
Ma lassù nelle alture il nemico tiene fermo, e quantunque nel fondo della valle si fosse ritirato, grandi masse riaprono in tutto il fronte un fuoco micidialissimo, per cui i nostri bravi sono costretti a ritirarsi dalle posizioni avanzate guadagnate poco prima, e il nemico riprende le proprie. Le perdite sono gravi assai, fra altri sono caduti i capitani Casadei, Sini, Messaglia, il tenente Vitali, i due tenenti medici Miccichè e Lombi, e molti altri.
I nostri battaglioni hanno ordine di accelerare il fuoco; le batterie secondano mirabilmente; fanno due sbalzi in avanti; ma il nemico non si muove nè dalle alture nè dal fondo della vallata; un centinaio di metri divide i nostri dalla fronte nemica che fa un fuoco d'inferno; le artiglierie rombano con fragore indemoniato; la tromba squilla il pronti(186) per l'assalto; il generale Dabormida come se si trovasse ad una parata, con a fianco il colonnello Airaghi, seguito dagli ufficiali del comando oltrepassa a cavallo la linea di fuoco - in tutti corre un fremito - un urlo tremendo si leva, "Savoja, Savoja!
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