Nonostante quanto affermato alla fine del preambolo del Manifesto, l'Italia non doveva vedere una traduzione se non con un ritardo di quarantun'anni. Ciò non significa che l'opera fosse ignota al pubblico italiano: a partire perlomeno dal 1874, suoi brani furono oggetto di citazioni più o meno lunghe, di epigrafi, di una serrata discussione in un corso universitario (quello tenuto da Antonio Labriola nel 1892-93, sfociato nel suo celebre scritto In memoria del Manifesto dei Comunisti pubblicato nel 1895, prima in francese e poi in italiano). Una traduzione fu eseguita nel 1885 da Pasquale Martignetti, ma non venne pubblicata per mancanza di soldi.
Finalmente, nel 1889, quella che è a tutti gli effetti la prima traduzione italiana apparve in appendice dal numero 35 del 30-31 agosto al numero 44 del 3-4 novembre su "L'eco del popolo", un foglio settimanale diretto a Cremona da Leonida Bissolati. Nell'editoriale di presentazione ci si riferisce all'opera una volta come Manifesto dei Comunisti, un'altra come Manifesto dei Socialisti, e si indica il 1847 come anno di redazione. Non viene fatta alcuna menzione del traduttore, ma diversi studiosi convergono nell'individuarlo nello stesso Bissolati. La traduzione è piuttosto infedele al testo originale: manca il preambolo, alcuni brani dei primi due capitoli vengono riassunti o omessi (anche in mancanza dei classici puntini di sospensione, che ricorrono giusto un paio di volte), il terzo capitolo viene saltato, e del quarto viene dato soltanto l'ultimo capoverso.
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