Tra i mortali, infatti, che cosa mai si fa che non trabocchi di follia, e che non sia opera di folli in un mondo di folli? Perciò, se qualcuno volesse opporsi da solo a tutti, io gli consiglierei di ritirarsi, come Timone, in un deserto, per godervi, da solo, la propria saggezza.
26. Ma, per tornare all'argomento proposto, quale forza, se non l'adulazione, raggruppò nella città quegli uomini primitivi, simili ai sassi e alle querce? Questo solo vuole indicare la famosa cetra di Anfione e di Orfeo. Cosa mai riportò alla concordia cittadina la plebe romana che già stava per spingersi ad atti irreparabili? Forse un discorso filosofico? Nemmeno per sogno! Al contrario, fu il ridicolo e puerile apologo del ventre e delle altre membra. Altrettanto si dica dell'analogo apologo di Temistocle, della volpe e del riccio. E quale discorso di un sapiente avrebbe potuto raggiungere l'efficacia della famosa cerva immaginata da Sertorio, o della trovata dei due cani, dello spartano Licurgo, o dell'altra ridicola storia, sempre di Sertorio, sul modo di strappare i peli dalla coda del cavallo? Per non parlare di Minosse e di Numa: entrambi governarono la stolta moltitudine con invenzioni favolose. E' con simili sciocchezze che si fa presa su quella grossa e potente bestia che è il popolo.
27. Viceversa, quale città ha mai fatto sue le leggi di Platone e di Aristotele, o i precetti di Socrate?
Che cosa persuase i Deci a votarsi spontaneamente agli Dèi Mani? Che cosa trascinò nella voragine Quinto Curzio, se non la vanagloria, dolcissima sirena (ma quanto esecrata dai sapienti!
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