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      E che altro è questo se non follia? Non dobbiamo dunque meravigliarci se gli Apostoli sembrarono ubriachi di vino dolce, se Paolo sembrò pazzo al giudice Festo.
     
      Comunque, visto che una volta tanto ho vestito la pelle del leone, andrò più in là mettendo in chiaro un'altra cosa: quella beatitudine che i cristiani cercano di conquistare a così caro prezzo, altro non è se non una forma di follia e di stoltezza. Non badate alle parole: non c'è intenzione d'offesa; considerate piuttosto i fatti. C'è in primo luogo un punto di contatto fra cristiani e platonici: entrambi ritengono che l'anima, irretita nei vincoli del corpo, trovi nella sua materia un impedimento alla contemplazione e alla fruizione del vero. Perciò Platone definisce la filosofia una meditazione sulla morte, perché, a somiglianza della morte, distoglie la mente dalle cose visibili e corporee. Perciò, finché l'anima fa buon uso degli organi del corpo, viene detta sana; ma quando, spezzati i vincoli, tenta d'affermarsi in piena libertà, e viene quasi meditando una fuga dal carcere corporeo, allora si parla di follia. Se per caso la cosa accade per malattia, per una qualche affezione organica, allora è pazzia conclamata. Tuttavia vediamo che anche uomini di questa specie predicono il futuro, sanno lingue e lettere che non hanno mai appreso in passato, ostentano qualcosa che appartiene decisamente all'ambito del divino.
     
      Non c'è dubbio: questo accade perché la mente, libera in parte dall'influenza del corpo, comincia a sprigionare la sua forza nativa.


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Elogio della Follia
di Erasmo da Rotterdam (Erasmus Roterodamus)
pagine 124

   





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