Giulio Firmico, astrologo siciliano del terzo secolo dell'êra volgare, spinse i suoi vaneggiamenti fino a trarre l'oroscopo dalla nascita di Archimede, e secondo la positura dei pianeti nel momento in cui sarebbe nato (chè questo è l'elemento fondamentale dei temi astrologici), giunse a conchiudere, averlo preconizzato le stelle come ingegno eccellente nelle meccaniche. Soltanto conoscendo le fantasticherie dell'astrologia giudiziaria, si riesce a concepire come il Firmico potesse credersi in grado di argomentare quale fosse stata la congiuntura delle stelle nel momento della nascita di Archimede, scrivendone circa sei secoli dopo, mentre di tale nascita non possono dirsi sicuri nè il giorno nè l'anno.
Fra coloro che con maggiori particolari tramandarono memoria di Archimede è Plutarco, il quale tra altro ci fa sapere ch'egli fu consanguineo ed amico del re Gerone, e contro questa notizia, che fu raccolta da tutti i biografi del grande Siracusano, starebbe ciò che trovasi asserito da Cicerone: questi infatti, in un passo delle Tusculane, sul quale dovremo ritornare più innanzi, lo dice «umile omiciattolo», ponendo in certo qual modo in contrasto la bassa origine di lui con l'altissimo grado di rinomanza al quale era pervenuto; anche Silio Italico scrive che era senza beni di fortuna: sicchè le due affermazioni prese insieme parvero contraddire alla parentela regale asserita da Plutarco. Senonchè, riflettendo che Gerone stesso, se anche dal lato paterno poteva vantare chiari natali, pure da quello materno era di origine oscurissima, anzi servile, non appariscono inconciliabili le due circostanze dell'umile stato nel quale si trovava la famiglia da cui uscì Archimede e della sua parentela con colui che ai meriti proprii dovette principalmente d'essere giunto a cingere la corona regale.
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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma 1923
pagine 63 |
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