Assai più probabile è che Archimede, dopo quel suo primo viaggio in Egitto, dove, attratto dalla fama della scuola d'Alessandria aveva compiuta la sua educazione matematica, vi sia tornato dopo che erasi diffusa la fama del suo genio, o chiamato dallo stesso Tolomeo, o mandato dal re Gerone, perchè ad un secondo soggiorno Egiziano crediamo devano riferirsi le grandi imprese che gli storici raccontano aver egli operate in quel paese.
Da fonti arabe abbiamo anzitutto che in Egitto avrebbe Archimede costruiti ponti ed elevate grandi arginature, queste per regolare le feconde inondazioni del Nilo, quelli per mantenere le comunicazioni fra le città e le borgate che dalle acque tracimate rimanevano divise.
Ma la invenzione più meravigliosa che, a vantaggio degli Egiziani, scrivono concordemente tutti gli storici avere Archimede ideato, è quella della coclea, della quale il giudice più competente, Galileo, così scrive nelle sue Meccaniche: «Non mi pare in questo luogo sia da passar con silenzio l'invenzione di Archimede di alzar l'acqua con la vite: la quale non solo è maravigliosa, ma è miracolosa; poichè troveremo, che l'acqua ascende nella vite discendendo continuamente». Per formarsi una idea di questo apparecchio, s'immagini un cilindro di legno simile al fusto d'una colonna lunga circa da dieci a dodici volte il suo diametro, intorno al quale si attortigli in forma di spirale un canale aperto ai due estremi e che va da un capo all'altro del cilindro; od in altre parole una vite il cui verme sia arrotondato e cavo.
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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma 1923
pagine 63 |
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