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      Si narra dunque che tanto legname fu raccolto sull'Etna e preparato per questo gran vascello quanto sarebbe bastato alla costruzione di sessanta galere, e tutto il materiale metallico e quello occorrente per le vele e per le gomene fu provveduto dall'Italia, dalla Spagna e dalla Gallia. Un esercito di operai attendeva ai lavori sotto la sorveglianza di Archia Corintio architetto, mentre trecento di essi erano impiegati soltanto nel ricoprire di lastre di piombo la struttura lignea mano a mano che andava progredendo. Portata nello spazio di sei mesi la costruzione alla metà, dal cantiere all'asciutto nel quale si stava lavorando, dovette essere trascinata in acqua, e lo storico che andiamo seguendo scrive che «il tirar questa nave in mare essendo cosa molto malagevole, il solo Archimede ve la trasse con pochi strumenti, avendo allestito l'elica per mezzo della quale ridusse in mare una nave così smisurata». Si dura per verità a comprendere come potesse a tal fine essere impiegata la coclea che vedemmo testè da lui inventata per ben altri scopi, e stimiamo assai più probabile ch'egli si sia servito della «trochlea», o di meccanismi d'altro genere dei quali diremo tra poco. In altri sei mesi fu compiuta la costruzione della ossatura che era tenuta insieme mediante chiodi di bronzo che raggiungevano perfino il peso di quindici libbre ciascuno. Ben venti ordini di remi erano predisposti per la navigazione, e nell'interno erano distribuiti gli alloggiamenti per i marinai ed i soldati, le cucine, i magazzini e quant'altro occorresse per la popolazione della nave.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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