Finalmente non meno di seicento uomini erano addetti al servizio di questa specie di città galleggiante. Con essa, ed altre navi minori che le facevano corona, narrano gli storici che Gerone mandò in Egitto sessantamila moggia di frumento, diecimila orci di salumi lavorati in Sicilia, ventimila talenti di carne ed altrettanti di altre vettovaglie: il tutto, compresa la nave che si chiamava Siracusa e che fu poi detta Alessandria, in dono a Tolomeo Evergete.
Lasciando da parte tutto ciò che in tale narrazione si contiene di favoloso, torneremo per un momento sull'espediente che Archimede avrà adoperato per varare la nave giunta alla metà della sua costruzione; il quale espediente, con tutta verisimiglianza, sarà stato quello del quale troviamo memoria essersi egli servito per dimostrare al re, come ci fa sapere Plutarco, che qualsiasi peso, per grande che sia, può muoversi con una minima forza «e millantandosi sulla sicurezza della dimostrazione, s'avanzò a dirgli che, s'egli avesse un'altra terra, passando esso in quella, gli darebbe l'animo di smovere questa. Meravigliatosi di ciò il re Gerone, il pregò di far vedere in opera un sì fatto problema e di mostrare mossa da una piccola forza una qualche gran mole. Per lo che Archimede, comperata una grossa nave da carico di quelle del re e fattala trarre a terra con gran fatica e a forza di mano e caricatala di molti uomini e del solito peso, sedendo egli in disparte e movendo non già con violenza, ma agiatamente colla propria mano certo principio di argano a molte funi, la fece scorrer per terra con tutta placidezza e senza rimbalzi, non altrimenti che se fosse andata per acqua».
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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma 1923
pagine 63 |
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