Come ci vien descritto in fonti medioevali, consiste in quattordici tavolette d'avorio o triangolari o quadrangolari o d'altre forme poligonali, che, combinate insieme in un quadrato, si prestano a rappresentare figure diverse, come di una nave, di un pugnale, di un albero o d'altro. Era stato fin qui dubbio che si trattasse d'una invenzione d'Archimede, mentre appariva più probabile che Archimedeo fosse stato detto perchè fatto con arte squisita, cosicchè abbia trovato pur qui applicazione l'antonomastico appellativo di «Problema Archimedeo» per tutto ciò che appariva di difficile soluzione; ma la scoperta recentissimamente fatta del testo greco di tale scrittura fra altre di Archimede, ha dissipato qualsiasi incertezza.
Ad Archimede pure si fa onore dell'invenzione degli orologi solari, ed un orologio sappiamo già che si trovava nella favolosa nave circa la quale ci siamo lungamente intrattenuti: chi gli contrasta quest'altro merito osserva esser detto che quell'orologio era fatto ad imitazione d'altro, senza però che si possa escludere che pur quest'altro fosse fattura d'Archimede; e non è improbabile che, leggendosi in Censorino, essere stati gli orologi importati in Roma dalla Sicilia, la invenzione d'essi sia stata attribuita ad Archimede.
Così tuttavia tanto per gli orologi quanto per le scitale, intorno ad una delle quali si avvolgevano i papiri per iscrivervi lettere le quali si voleva restassero secrete per quelli nelle cui mani fossero venute e non possedessero la scitala corrispondente, essa pure invenzione attribuita al Nostro, sono dubbie e contraddittorie le asserzioni degli storici, e ad ogni modo appartengono a tempi troppo posteriori perchè possano esser prese in seria considerazione.
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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma 1923
pagine 63 |
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