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      Sicchè a ragione egli conclude: «Io penso, o re Gelone, che queste cose sembreranno incredibili al volgo degli uomini non versati nelle matematiche, ma appariranno dimostrate a quelli che ne sono periti e che conoscan le distanze e le grandezze della terra, del sole, della luna e di tutto il mondo».
      Un teorema che Archimede dimostra in questo suo Arenario, e che permette di surrogare una moltiplica con una somma, indusse qualcuno a vedervi una prima idea dei logaritmi, e qualche altro giunse fino ad attribuirgliene l'invenzione; ma, come avvertì giustamente il Delambre, egli non menziona altro che i numeri interi della progressione decupla crescente, e nulla dice che possa far pensare, aver egli intravveduta la possibilità o l'utilità d'intercalare fra questi altri numeri frazionarii che si approssimassero quanto fosse necessario ai numeri della serie naturale, e che si potrebbe quindi con tal mezzo sostituire la somma dei loro numeri d'ordine nella progressione alla moltiplica dei due numeri istessi. Egli non ha nemmeno esteso il suo concetto alla sottra che avrebbe potuto sostituire la divisione, e finalmente egli sembra essere stato così lontano dal considerare questa idea come di applicazione utile ai calcoli pratici, da parer evidente che per lui essa non fu che un mezzo per dispensarsi dal calcolo, e non già un mezzo per rendere i calcoli più agevoli.
      Archimede è del resto così ricco di conquiste nei più svariati rami delle matematiche da non meritare, diremmo quasi, che gli vengano attribuite invenzioni delle quali è dimostrato non aver egli avuto il più lontano concetto.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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