V.
Il «massimo ingegno sovrumano» di colui che Galileo chiama «il mio maestro» e ch'egli scrive: «aver superato tutti», rifulge in particolar modo nelle opere matematiche, le quali non sono, come quelle di tanti altri geometri dell'antichità, compilazioni o raccolte: egli è principalmente e sopratutto uno scropritore ed un inventore, ed i lavori da lui lasciati contengono cose nuove, per la massima parte escogitate e trovate esclusivamente da lui.
Gli scritti d'Archimede pervenuti insino a noi nel testo originale greco sono stesi in dialetto dorico, o, più esattamente, in dialetto siculo-dorico; ma come abbiamo già notato, ad eccezione dell'Arenario, che men degli altri sofferse per alterazioni posteriori, si sono infiltrate in essi aggiunte e variazioni per parte di un interpolatore che apparisce perito nel dialetto dorico; un secondo interpolatore, e precisamente dopo Eutocio, ha completamente rimaneggiata una delle scritture, annullando quasi in essa le traccie del dialetto originale. Questi particolari furono rivelati da accurati studii condotti in questi ultimi tempi, poichè, come di tutte le opere dei matematici greci, così di quelle di Archimede avvenne che all'epoca del rinascimento furono dai matematici tradotte e commentate, ma in nessun conto tenute dai filologi puri, come quelle che erano giudicate di troppo scarsa importanza per i comuni studii delle umane lettere, e gli stretti legami della filologia classica con la storia delle scienze sono un portato di questi nostri ultimi tempi.
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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma 1923
pagine 63 |
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