Il figlio Gelone gli era premorto, sicchè a raccogliere la sua successione fu chiamato il figlio di questo, Ieronimo, giovinetto quindicenne che appena salito sul trono e liberatosi dal consiglio di tutela, di null'altro curante che del fasto, ruppe il freno ad ogni scostumatezza e crudeltà. Falsando la tradizione politica dell'avo, che s'era mantenuto costantemente fedele a Roma, cedette alle lusinghe d'Annibale che gli aveva fatto balenare innanzi gli occhi lo scettro di tutta la Sicilia, e quando una legazione romana tentò di rinnovare con lui l'antica alleanza, la congedò bruscamente, alludendo con ironia alla rotta di Canne.
Riusciti vani altri tentativi di Roma per riannodare le antiche amichevoli relazioni, la guerra fu dichiarata: senonchè muovendo egli stesso col grosso dell'esercito che aveva raggranellato, cadde a Leontini per mano d'una delle sue guardie del corpo che una congiura orditasi contro di lui aveva prezzolato.
Ucciso il tiranno e spenta nel sangue tutta la famiglia reale fino alle donne ed alle bambine, fu proclamata la repubblica. Non erano tuttavia per questo cessate le lotte dei partiti, che anzi s'erano fatte più vive partecipandovi i popolari, ma finalmente prevalse la fazione favorevole ad Annibale ed all'alleanza coi Cartaginesi che inviarono una flotta al Pachino.
Roma, perduta ogni speranza d'aver dalla sua i Siracusani, mandò con forte esercito il console Marcello che, presa e messa a ferro e fuoco la città di Leontini, mosse con tutte le forze delle quali disponeva all'assalto di Siracusa.
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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma 1923
pagine 63 |
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