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      Mandate le legioni sotto gli ordini di Appio Claudio ad attaccare per via di terra dalla parte dell'Esapilo, si diresse egli contro l'Acradina con ben sessanta quinquiremi cariche d'ogni sorta di armi e di saettame e con macchine di varie foggie che gettassero sulle mura ordigni e scale per far la via ai soldati: ricordano gli storici in particolar modo l'accoppiamento di otto navi che saldate insieme mediante robuste traverse portavano delle scale protette da balaustre e da tetti, e, dalla forma di arpa con la quale erano disposte le navi, le traverse e le scale, dette sambuche, con l'aiuto delle quali si credeva il capitano d'aver presto ragione della piazza, facendo guadagnare dagli assalitori le mura che i frombolieri e saettatori imbarcati sulle altre navi avrebbero provveduto a tener sgombre di difensori.
      Ma alla difesa della sua Siracusa aveva pensato Archimede, il quale, mantenutosi sempre estraneo alle lotte dei partiti che l'avevano tratta a quegli estremi, nel momento del supremo pericolo venne in soccorso dei suoi concittadini con tutte le industrie del suo genio inesauribile.
      I particolari di questa memorabile difesa sono narrati da Polibio, da Plutarco e da Tito Livio: da essi apprendiamo che per poter offendere il nemico che investiva la città per via di terra, senza pericolo per parte dei difensori, Archimede aveva fatto praticare nelle mura frequenti feritoie, delle quali pare che nessuno prima di lui avesse pensato ad usare, e di là e di sopra le mura con baliste e catapulte mascherate faceva rovinare così gran numero di pietre di saette e con così forte e spaventoso rombo che chi non rimaneva ucciso e gravemente ferito abbandonava l'assalto in preda alla massima paura.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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