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      Contro le navi lontane faceva pure lanciare massi e giavellotti ben pesanti, e quando giungevano ad accostarsi, stendevansi tutto ad un tratto contro di esse fuor dalle mura lunghe travi, le quali parte ne facevano andare a fondo per la violenza con cui le percuotevano dall'alto, e parte afferravano con rostri ed uncini di ferro dalla prora, levavano in aria e fracassavano contro gli scogli. Contro la sambuca poi, mentre era ancora distante dalle mura, lanciavansi così gran sassi e perfino, come vien riferito, macine da mulini che completamente la schiacciavano insieme coi soldati che dovevano da essa muovere alla scalata ed all'assalto.
      Altre invenzioni di macchine belliche dovute ad Archimede, quale l'architronito, cioè una specie di cannone a vapore, ed un apparecchio specialmente adatto ai combattimenti navali descrive Leonardo da Vinci, ma ignoriamo affatto le fonti alle quali egli attinse, mentre nè egli stesso nè altri dissero che tali strumenti di guerra siano stati usati nella difesa di Siracusa.
      E qui, aprendo una parentesi, siamo condotti a tener parola di quell'altro apparecchio scientifico che, secondo ci vien riferito da troppo tardi narratori, Archimede avrebbe volto a danno dei romani, vogliamo dire degli specchi con i quali avrebbe bruciate le navi di Marcello. Nessuno degli storici summenzionati, cioè nè Polibio, nè Plutarco, nè Tito Livio ne tengono parola; e di quelli che lo affermano, Galeno ne scrive come di cosa udita narrare, Zonara, vissuto tanto più tardi lo riferisce appoggiandosi ad un passo irreperibile di Dione, e l'ancor più tardo Tzetze, in un luogo che al Torelli non parve ben chiaro, precisa che lo scopo era stato da Archimede raggiunto mediante uno specchio esagonale; ma non è certamente sull'autorità tanto discussa di questo scrittore che potrebbe conchiudersi alcunchè di positivo a tale proposito.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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