Sovvenuti però com'erano dai Cartaginesi, non difettavano i Siracusani di vettovaglie e la resistenza si prolungava ed ormai durava da oltre due anni, essendo andata a vuoto una congiura di alcuni fuorusciti che si trovavano al campo di Marcello per dargli nelle mani la città.
Nella occasione tuttavia di trattative per riscattare certo spartano che gli assediati avevano inviato in cerca di aiuti, e ch'era stato preso dai Romani, poterono questi, accostandosi maggiormente alla città, osservare certa torre in vicinanza al porto di Trogilo che si prestava ad una facile scalata, e, approfittando di una notte nella quale i Siracusani si erano abbandonati al vino ed al sonno dopo celebrate le feste di Diana, Marcello fece salire i suoi sulla torre e da quella parte penetrò nell'Epipoli, facendo in pari tempo dar di fiato alle trombe da ogni parte per lasciar credere che ormai fosse tutta la città nelle sue mani.
Côlti i Siracusani dallo spavento, si diedero alla fuga, lasciando indifesa anche la rocca dell'Acradina ch'era la meglio munita e che avrebbe potuto ancora lungamente resistere; e così sul far del giorno Marcello fu padrone di Siracusa, che «macchiando il suo onor militare, abbandonò al saccheggio ed alla carneficina». Questo avveniva nel terzo anno dell'assedio, correndo l'anno di Roma 545 ed il 212 avanti l'êra cristiana.
Tra gli orrori della strage perì anche Archimede, ed il modo della morte viene diversamente narrato. Vuolsi da Plutarco che il console romano, ammirato della lunga ed ostinata difesa, opera più che d'altri del genio di Archimede, entrando trionfante in Siracusa, avesse ordinato ch'egli avesse salva la vita, ed anzi fosse a lui condotto, ma il legionario che l'invitava a seguirlo, non essendo stato da lui istantaneamente obbedito, perchè Archimede non voleva muoversi finchè non avesse compiuta certa dimostrazione alla quale, non curante dei Romani e dell'eccidio, stava attendendo, infuriato l'uccise.
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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma 1923
pagine 63 |
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