I.
CHI entra in Santa Croce di Firenze dalla porta maggiore, mossi pochi passi, si trova sotto i piedi un lastrone di marmo con l'effigie, mezzo consunta dallo scalpiccio irriverente dei fedeli, d'un "Magister Galilaeus de Galilaeis". Nato nel 1370, era salito in riputazione di gran medico; Lettore ed uno degli ufficiali dello Studio, aveva anche nobilmente servito la patria nelle più alte magistrature; e quando circa ottantenne venne a morte, fu sotto quel lastrone composto dalla pietà del figlio Benedetto.
In quella tomba, accanto a lui ed ai suoi discendenti, avrebbe voluto essere deposto il suo grande omonimo, nato circa due secoli più tardi e che della famiglia doveva essere il maggior lustro; poichè questa era la "sepoltura dei suoi antenati" nella quale aveva nel testamento ordinato di essere deposto. Ma la pietà dell'ultimo suo discepolo, dopo l'empietà di chi alla gran salma aveva persino osato di contendere la sepoltura in luogo sacro, impedì che questo atto della sua ultima volontà venisse adempiuto; e le sue ossa, profanate da sacrileghe mutilazioni, riposano ormai, bensì in Santa Croce, ma fuori dal tumulo di sua famiglia.
E la famiglia era stata cospicua, se non per grandi ricchezze, per gli uffici dei quali parecchi tra i suoi membri erano stati investiti; ma quando da Vincenzio di Michelangiolo Galilei e da Giulia del casato degli Ammannati, dal quale nel secolo XV era uscito il cardinale Iacopo, egli nacque il 15 febbraio 1564 e nella primaziale di Pisa fu battezzato col nome di Galileo, ogni splendore era da lungo tempo scomparso e ne rimaneva appena la tradizione.
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