Messo sull'avviso dalla argomentazione d'uno tra i più acuti suoi discepoli, D. Benedetto Castelli, scopriva le fasi di Venere, deducendone la sicura conseguenza di ciò che da tempo egli sospettava, vale a dire che tutti i pianeti sono per loro natura tenebrosi e ricevono il lume dal sole, e che intorno ad esso si aggirano, confermando così pienamente la teoria copernicana circa il vero sistema del mondo.
Ma il cammino per quanto trionfale, non appariva tutto seminato di rose, poichè se le meravigliose scoperte avevano ottenuto l'assenso entusiastico degli studiosi della Natura, richiamarono però in pari tempo l'attenzione dei teologi, i quali incominciarono a guardarne con occhio sospettoso le conseguenze. E di conoscere il giudizio che questi portavano sul suo libro e sopra i suoi discoprimenti, Galileo si mostra sopra ogni altra cosa premuroso e sollecito, ed il conquistare l'adesione dei Gesuiti, i quali egli riconosce, "sapere assai più sopra le comuni lettere dei frati", e nelle cui mani era l'Osservatorio del Collegio Romano, è in cima a tutti i suoi pensieri.
Perciò appunto, poco dopo rimpatriato, aveva chiesto al Granduca licenza di recarsi a Roma col proposito di far riconoscere le sue scoperte e di rimuovere ogni ostacolo alle conseguenze che ne derivavano. Non gli riuscì pertanto difficile conseguire, almeno in parte, l'intento, poichè ormai l'esistenza dei Pianeti Medicei e le altre novità celesti erano state verificate anche dagli astronomi del Collegio, sicchè al cardinale Bellarmino, che, segretamente in iscritto e senza nominare Galileo, li interrogava se avevano notizia delle nuove osservazioni celesti che un valente matematico aveva fatte con uno strumento chiamato cannone, ovvero occhiale, rispondevano confermandole.
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