A ciò erano essi indotti da comunicazioni che andavano ricevendo da altissimi personaggi, e non è affatto fuori di luogo l'ammettere che questi fossero bensì benevoli a Galileo, ma vedessero di mal occhio la dottrina della quale erasi fatto sostenitore: intendevano proteggere la persona di lui, e di ciò si presero la massima cura anche quando la situazione divenne più pericolosa, ma stimavano che il sistema da lui difeso, dovesse, come dannoso alla fede, venire ad ogni costo condannato; e che perciò sia sembrato opportuno nascondere a Galileo che la dottrina copernicana fosse minacciata finchè il Sant'Uffizio ne avesse pronunciata la proibizione. Cosicchè in piena buona fede si affaticavano gli amici del nostro filosofo a dimostrargli che erano del tutto infondati i timori che egli andava loro manifestando: fra questi anche il Dini lo veniva sollecitando a compiere la scrittura, la quale sotto forma di lettera a Madama Cristina non fu subito pubblicata per le stampe, ma certamente corse fin d'allora manoscritta, mentre intorno allo stesso tempo vedeva la luce la lettera del carmelitano Paolo Antonio Foscarini che si proponeva di difendere la dottrina copernicana, salvando tutti i luoghi della Scrittura stimati con essa in opposizione.
Convien credere che Galileo confidasse di poter, con i nuovi argomenti ch'egli s'era affaticato di mettere insieme, persuadere la parte teologica; e poichè, non ostante le ripetute assicurazioni che non si sentiva "neppure un minimo motivo contro di lui", ben comprendeva tutta la gravità della questione che si stava agitando, tanto rispetto alla sua persona, quanto per ciò che concerneva i lavori i quali andava volgendo nella mente, deliberò, seguendo anche il consiglio di qualche amico, di recarsi egli stesso a Roma per isventare le trame che si ordivano contro il sistema del quale s'era fatto aperto propugnatore.
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