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      Il Dialogo che nell'agosto del 1625 egli scrive di andar tirando innanzi, apparisce intermesso nel dicembre dell'anno successivo, ed anche sei mesi dopo gli amici sentono che procede con lentezza, la qual cosa porge argomento alle loro doglianze. Nonostante che, in occasione della gravissima malattia, dalla quale Galileo fu còlto nel marzo del 1628 e che lo condusse in fin di vita, preso da timore che l'opera rimanesse incompiuta, egli facesse risoluzione di portarla a fine nel più breve tempo possibile, tuttavia nel 1629, per ragioni a noi sconosciute, il lavoro soffrì nuovo ritardo.
      Fu ripreso nell'ottobre, e il 24 dicembre partecipava al Cesi d'averlo "condotto vicino al porto"; e al principio dell'anno successivo i dialoghi erano "felicemente terminati", si leggevano in casa del canonico Cini e l'autore ne incominciava la revisione, dandone avviso agli amici ed aggiungendo che in breve li avrebbe avuti in pronto "per darli alla luce", e la stampa si proponeva di farla in Roma, dov'egli stesso si sarebbe recato a curarla "per non affaticar altri nelle correzioni". In questa determinazione egli era venuto, come par molto probabile, perchè, dovendo l'opera esser pubblicata per cura dell'Accademia dei Lincei, cioè a spese del principe Cesi, fosse evitato il pericolo di troppe scorrezioni e di interpolazioni, come era avvenuto per il Saggiatore. Contemporaneamente però Galileo faceva tastare il terreno per prepararsi all'accoglienza che egli ed il suo libro vi avrebbero ricevuto, e ne scriveva al fido Castelli, il quale si era già abboccato intorno a questo particolare col Padre Maestro del Sacro Palazzo, Niccolò Riccardi, ed aveva scandagliato l'animo del cardinale Francesco Barberini, nipote del Papa e, come allora dicevasi, Cardinal Padrone.


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Galielo Galilei
di Antonio Favaro
Bietti Milano
1939 pagine 58

   





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