Quanto al P. Riccardi, partecipava il Castelli a Galileo "che era tutto suo, e che sempre avrebbe fatta la dovuta stima della sua virtù e che non ne dovesse dubitare", e quanto al cardinale Barberini, faceva delle difficoltà, ma pure, quando Galileo avesse provato che la terra non era una stella, "nel resto le cose potevano passare". Questa lettera incoraggiò il nostro filosofo nella correzione del suo lavoro, sulle sorti del quale dovette sentirsi tanto più fiducioso dopo la famosa dichiarazione che, circa la proibizione del Copernico, il Pontefice stesso ebbe a fare a Tommaso Campanella, cioè che: "Non fu mai nostra intenzione, e se fosse toccato a noi, non si sarebbe fatto quel decreto".
Compiuto il lavoro, conveniva ottenere licenza di stamparlo, ed a tal fine Galileo prese nuovamente la via di Roma, ove trovava validissimo aiuto nell'ambasciatore toscano Francesco Niccolini, nella di lui moglie Caterina Riccardi, battezzata nel carteggio galileiano col nome di "regina della gentilezza", e in Monsignor Ciampoli, suo svisceratissimo ed allora Segretario dei Brevi ed in gran favore presso il Pontefice. Dopo due mesi di trattative potè bensì Galileo riavere il libro sottoscritto e licenziato di mano del P. Riccardi e partirsene da Roma, ma con l'obbligo di tornarvi per gli accordi definitivi. Intanto, in seguito a nuove difficoltà, veniva consigliato a Galileo di stampare il libro in Firenze, e quindi nuova revisione da parte di un teologo della città, con la riserva però, che il proemio e la fine fossero accomodati dal Padre Maestro del Sacro Palazzo, il quale ad un certo punto voleva rivedere nuovamente e da sè tutta l'opera.
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