Al tipografo Landini si intima di sospendere la vendita e la diffusione del libro, e l'autore di esso non viene immediatamente deferito al Sant'Ufficio soltanto in grazia delle raccomandazioni del Granduca e delle insistenze del suo ambasciatore: il Dialogo però viene sottoposto all'esame d'una Congregazione particolare ed appena ricevutone il parere conforme alla sua volontà, il Papa fa intimare a Galileo col mezzo dell'Inquisitore di Firenze di presentarsi entro un mese al Commissario del Sant'Uffizio in Roma. Nessuna preghiera, nessuna mediazione, nessuna ragione valgono a calmare l'irato Pontefice: in un attestato medico il quale dichiarava che ogni piccola causa esterna avrebbe potuto apportare evidente pericolo di vita all'infelice scienziato, egli sospetta un pretesto per eludere i suoi ordini e perentoriamente manda all'Inquisitore di Firenze che il Sant'Uffizio avrebbe inviato a spese di Galileo un commissario e dei medici, i quali se l'avessero trovato in istato di mettersi in viaggio, lo avrebbero fatto carcerare e legare con catene, e così legato l'avrebbero tradotto a Roma. Non vale che dalla Corte stessa si scriva in conferma delle asserite gravissime condizioni; l'ambasciatore toscano avendo fatto sapere che il Papa minacciava qualche stravaganza, il Granduca non osa più resistere e fa intendere a Galileo che gli è giuocoforza ubbidire. E nel più crudo dell'inverno, fra i pericoli della morìa che dilagava per tutta Italia, di quella stessa della quale è eternata la memoria nelle pagine immortali dei Promessi Sposi, Galileo, fatto prima testamento, muovendo da Arcetri, dove s'era ridotto per trovarsi più vicino alle figliole monache, parte per Roma.
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