Urbano VIII lo ha finalmente a propria discrezione.
Rinunciamo a seguire passo a passo lo sventurato filosofo lungo la via dolorosa di questo secondo processo, impostato principalmente sulla mancanza al precetto col quale il primo era stato conchiuso.
Dopo tre interrogatorii, nell'ultimo dei quali Galileo, stremato di forze, invoca la clemenza dei giudici e la compassione per la cadente sua età ed il miserando stato di salute nel quale era ridotto, il Pontefice ordina che sia interrogato sopra l'intenzione, anche minacciandogli la tortura: e se si terrà fermo, previa l'abiuria de vehementi da farsi in piena Congregazione del Sant'Uffizio, si condanni al carcere ad arbitrio della Sacra Congregazione; che gli si ingiunga di più non trattare nè per iscritto, nè a voce, nè in qualsiasi maniera, della mobilità della terra e della stabilità del sole, sotto pena di recidività; che il libro incriminato sia posto all'Indice, e che copie della sentenza si mandino a tutti i Nunzii Apostolici ed agli Inquisitori ed in particolare a quello di Firenze, il quale legga quella sentenza in piena congregazione e alla presenza del maggior numero di professori di matematica.
Ammonito dall'ambasciatore toscano, che lo voleva salvo ad ogni costo, ad abbandonare la sua linea di difesa ed a sottomettersi a quello che da lui si pretendeva, costretto a rinnegare, almeno in apparenza, la sua fede di scienziato, cade in tale avvilimento da far temere della sua vita, e quando egli si presenta a subire l'ultimo interrogatorio non è più che l'ombra di un uomo.
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