Nulla vale a distoglierlo da questo, considerato ormai come supremo scopo degli ultimi anni di sua vita e che deve riguardarsi come l'opera sua capitale: non l'immenso dolore per la perdita della sua primogenita, non le amarezze procurategli dal figliuolo e dai parenti, non il rammarico per le continue ripulse alle istanze per ottenere la completa liberazione, non infine il pensiero delle difficoltà che avrebbe incontrate per pubblicare l'opera sua dopo la espressa commissione mandata da Roma agli Inquisitori di negare la licenza di stampa a qualunque sua scrittura, ponendo divieto generale de editis omnibus et edendis, in tutti i luoghi, nullo excepto. Steso il lavoro in dialoghi, nei quali rivivono gli stessi personaggi di quello condannato, e non accogliendo il parere di amici che lo consigliavano a deporne copie manoscritte in alcune biblioteche, consegna i due primi al Principe Mattia de' Medici perchè li porti seco in Germania e ne procuri la stampa, e più tardi quattro ne rimette al conte Francesco di Noailles, già suo scolaro in Padova e che, ambasciatore francese presso il Papa, continuamente s'era adoperato per la sua liberazione.
Aveva Galileo dapprima pensato a far stampare questi dialoghi, i quali, appunto per le materie in essi trattati, son detti delle "Nuove Scienze", in Venezia, ed a questo fine ne era venuto mandando alcuni fogli al P. Fulgenzio Micanzio, col quale s'era legato in stretta amicizia fin dal tempo del suo soggiorno padovano, sin da quando cioè lo aveva conosciuto come coadiutore del Sarpi; ma il divieto del quale abbiamo tenuto parola aveva fatte incontrare inattese difficoltà. Erano pur fallite le pratiche intavolate col mezzo di Giovanni Pieroni per farli stampare in Germania dedicandoli all'Imperatore stesso oppure, come parve poi più opportuno, al Re di Polonia, quantunque il manoscritto avesse già ottenute le debite licenze.
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