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      Mio primo desiderio fu di trovare un maestro, di avviarmi confidente in una via sicura; volli sfuggire ad ogni modo la sventura di essere solo. Non mi fu concesso evitarla. Dovunque mi volgessi, trovai portentosi ingegni, scoperte preziose; non una dottrina ferma nel suo principio: una dottrina che ci ritornasse l'umanità, la sicurezza un tempo concesse ai discepoli di Locke. Condannato a cercare in me stesso la formula in cui potesse compiersi la filosofia della rivoluzione, mi proposi il problema quale affacciavasi in piazza e nelle scuole, presso i filosofi e nelle assemblee politiche. Si tratta di sapere, io mi dissi, in qual modo possiamo rimanere nel fatto, mentre il moto della logica ci trae lungi dal fatto; si tratta di sapere come io possa credere a ciò che vedo, a ciò che sento, mentre il ragionamento mi travia, mi sconcerta, mi impone di rispettare ciò che non vedo, ciò che non sento, ciò che non è. Il catechismo della rivoluzione è semplice, si riduce a due principi, la verità, la giustizia; non v'ha alcuno che lo ignori: ma giunge il sofista, e vi dimanda che cos'è la verità? che cos'è la giustizia? Le riduce al vostro opinar personale, vi mostra che potete ingannarvi, che dovete rispettare l'opinione opposta; resiste alla vostra virtù con una sua virtù, con un suo ascetismo: se vi appellate alla natura, vi oppone la ragione; se parlate di scienza, vi oppone una sua scienza, un suo criterio del vero, reclama la sua libertà, quella dei credenti, e vi invola ciò che vedete, la verità di Voltaire, ciò che sentite, la giustizia di Rousseau.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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