Dunque il tempo respinge il moto.
Si comparino i caratteri del tempo e quelli del moto, la contraddizione aumenterà. Il tempo è necessario, il moto è contingente: come una successione può essere da un lato necessaria, dall'altro contingente? In qual modo la necessità può compenetrarsi colla contingenza, e così trovarsi la condizione del contrario, da cui è negata? Il tempo è infinito; non ha principio nè fine, non si può concepire nè l'epoca in cui non era, nè quella in cui non sarà; il moto, al contrario, è finito per natura, benchè possa intendersi eterno per accidente. Dunque il moto divide il tempo, dunque finisce l'infinito, dunque lo distrugge, dunque è impossibile che subisca la condizione del tempo. Aggiungasi, che il moto, effettuandosi in uno stesso mentre nello spazio e nel tempo, raddoppia così le sue contraddizioni: s'identifica così due volte con termini che lo respingono; finito e transitorio, esso è due volte smentito da due apparenze eterne ed infinite.
Nè si fugge l'assurdo, ove si neghi il tempo e si riduca all'apparenza del moto, a un'illusione: il tempo è, come lo spazio, me la sostanza, come la causa, come il genere: apparenza irresistibile, fatto primitivo e irreducibile. Esso è evidente quanto il moto, è dato in uno col moto; non si può ottare tra il tempo e il moto, non si può immolare un termine all'altro senza operare a capriccio, senza che l'operazione dialettica implichi l'assurdo di creare col fenomeno del moto il suo contrario del tempo, o col fenomeno tempo quello del moto.
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