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      Prendiamo il dato dell'errore. La nostra fallibilità non avrà limiti. I sensi mettendoci in comunicazione colla natura, ci ingannano sulle distanze, sui colori, sulle figure, sui suoni, su tutto; ogni nostro organo è aperto all'illusione. I sentimenti falsificano le nostre opinioni, cogli interessi álterano il valore delle cose; l'età, il sesso, il temperamento, la razza, dispongono della nostra intelligenza, per cui le nostre opinioni dipendono dall'accidente della nascita, il clima governa i nostri pensieri, la latitudine governa i nostri dogmi. Dove trovare il clima, il temperamento, il sesso della verità? L'abitudine ci dà una seconda natura; qual'è questa natura? Essa è tutta meccanica, cieca, in balia al caso delle leggi, delle religioni, dell'educazione. L'analogia, quest'abitudine dell'intelligenza si impadronisce dell'universo per rifarlo a imagine e somiglianza del nostro paese, della nostra famiglia, di noi stessi; essa attribuisce a Dio le nostre forme, e lo adora come un re. Possiamo noi chiedere la verità all'abitudine o all'analogia? La chiederemo noi alle passioni? sarebbe pure lo stesso che chiederla al pregiudizio, all'amore, al furore, all'imaginazione, predestinata a mentire, alla follìa, la quale non è se non la malattia delle passioni e dell'imaginazione. L'errore si propaga colla potenza dello sguardo, della parola, col fascino dell'imitazione; nulla gli sfugge, nemmeno le percezioni; l'allucinazione usurpa la parte della natura, e simula cose che non esistono; il sogno usurpa le parti della nostra persona, ci fa vivere in un io falso e menzognero; qualche volta ci mostra il nostro io fuori di noi, e c'insegna così che noi stessi possiamo essere un errore.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





Dio