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      Ecco due punti di partenza opposti, il dilemma è esatto, la scelta impossibile. Secondo la psicologia il mondo è in me, sta a me il verificarlo; secondo la fisica io sono nel mondo, appartiene alla natura il dimostrare la mia esistenza. Da un lato le cose dipendono dall'intelletto, che le conosce, dall'altro la cognizione dipende dalle cose da conoscersi: l'io e il non-io si presentano vicendevolmente come la condizione l'uno dell'altro; la premessa di ogni dimostrazione cade in un circolo vizioso, diventa impossibile.
      Il termine medio per dimostrare l'esistenza della natura ci manca, come ci mancano le premesse. Interroghiamo il senso comune. La fede di ogni uomo nelle cose esteriori si fonda sulla necessità di trovare fuori di noi la causa dei fenomeni che si oppongono a noi. Si dice: io non posso essere la causa degli ostacoli che incontro; io devo lottare, combattere contro la natura; io agisco, io soffro; son felice, infelice mercè le apparenze che mi circondano. Come potrei credermi solo? Isolato, sarei nel tempo stesso attivo e passivo, aggressore e difensore, amico e nemico di me stesso; ciò non è possibile; dunque io sono sottoposto all'azione di cause estranee al mio essere; dunque vi è qualche cosa fuori di me; dunque io non sono solo co' miei pensieri, non sono un solitario allucinato. Tale è il ragionamento adottato dal senso comune, ed è un ragionamento in cui l'io figura come un corpo in mezzo ai corpi, o se si vuole, come un essere in mezzo agli esseri. Il termine medio del ragionamento, o piuttosto l'unico appoggio della dimostrazione si fonda sull'idea di azione e di reazione, di causa e d'effetto; le quali idee sono già distrutte dalla logica, che le mostra contraddittorie, impossibili.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693