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      Non potendo raggiungere il mondo esterno, la psicologia può disperare delle sue forze, e dare una forma logica alla propria disperazione. Se noi non possiamo uscire da noi stessi, se la natura si sottrae a tutte le nostre dimostrazioni, se opponsi ai nostri propri pensieri per provocarci ad una lotta inutile, possiamo considerarla come un'apparenza erronea, come un'illusione dello spirito.
      Qui noi siamo soli, ogni cosa emana da noi, le cose sono fatte dal nostro intelletto, come da un'irradiazione ingannevole della nostra propria sostanza. Ma il sacrificio del mondo esterno non basta ancora ad appagare la logica. Non c'è dato di uscire da noi stessi, non c'è dato neppure d'isolarci; questa stessa parola d'isolamento, questa parola io suppone qualche cosa di esteriore da cui noi vogliamo distinguerci. L'io e il non-io stanno insieme come la destra e la sinistra, l'alto e il basso, il più e il meno, e tutti i contrari. Per fondare l'ipotesi su l'uno de' contrari bisognerebbe sceglierlo giustificando la scelta, e noi abbiamo dinanzi a noi due apparenze, il pensiero e le cose, l'io e il non-io, egualmente evidenti. La psicologia s'impadronisce dell'io, lo isola, e considera il non-io come l'errore del mio pensiero; ma il non-io è altresì un fatto, ha gli stessi diritti, e pertanto sviluppa l'ipotesi opposta: mentre la psicologia considera la natura come l'errore fatale contrapposto a' nostri pensieri; la possibilità contraria ci ferma, travolge l'ipotesi, e siamo costretti a considerare la natura come sola e isolata, come la madre universale di tutti i fenomeni, compreso quello del pensiero, ch'io chiamo mio per illusione.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693