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      All'assioma io penso dunque esisto, l'io oppone schiettamente l'assioma, ciò che non esiste non pensa; e qui sarebbe più vero l'io, che il pensiero; qui la sostanza pensante domina ogni nostro concetto. Il dilemma non può essere sciolto, ogni soluzione può essere intervertita.
      Finalmente, se l'io è l'errore del pensiero, quest'errore deve spiegarsi, dev'essere un'alterazione del pensiero; e ammettendo il miracolo dell'alterazione, bisogna compierlo; bisogna credere che l'io s'oppone a sè stesso per affermare ciò che non è. E se il pensiero può alterarsi, se può mentire, se può vedere all'estremità del giudizio l'illusione della mia esistenza separata dal giudizio stesso, il pensiero deve poter raddoppiarsi, e creare realmente quell'io che afferma. Quando si viola la logica non ci costa più d'esser creatori, che di essere visionari. Ma qui ancora l'ipotesi s'interverte: l'io reclama, pretende che il pensiero sia il suo errore, e se l'io può creare un errore, può creare una verità, poichè non è più difficile il creare l'illusione del pensiero, che il crearne la verità.
      Il giudizio io esisto, è continuato da due altri giudizi; col primo si afferma l'unità del nostro io; col secondo si afferma la permanenza dello stesso io, malgrado la successione dei nostri pensieri. Questi due giudizi, anticipatamente annullati dalla critica che ci nega la nostra esistenza, sono annullati di nuovo se noi vogliamo considerarli in sè stessi.
      L'unità dell'io si fonda sulla mia esistenza; essa mi dice che io non sono due o più individui, che io non sono una pluralità, ma bensì una sola ed unica persona; il che può essere riassunto nel detto: io mi sento uno, dunque sono uno.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693