Il sentimento della mia unità, mi offre forse una testimonianza abbastanza sicura? Si può dubitarne. L'io che sento è ne' miei desideri variati; indi passa d'un tratto nella mia volontà, che comprime i miei desideri; poi passa nell'intelletto, osserva i fenomeni del desiderio e della volontà come se gli fossero stranieri; infine, l'io si sposta di nuovo, lascia il giudizio, si trasporta nella riflessione per farsi giudice del giudizio e dei nostri pensieri. Più versatile di Proteo, l'io non solo cambia di forma, ma cambia di posto, di funzione, è in guerra con sè stesso e mi fa dubitare della mia propria unità. Il sentimento che ho di essere uno non sarebbe combattuto da un sentimento opposto che non dimostrerebbe ancora l'unità dell'io. Tra l'unità della mia coscienza e quella della mia sostanza non havvi identità, nè equazione, nè sillogismo. Arrogi, che la mia coscienza è tutt'intera il mio io o una parte di esso; se è il mio io, eccomi tutt'intero nella coscienza, io non sono sostanza alcuna, l'io non esiste. Se la mia coscienza è una parte dell'io, cioè una forma, un effetto, un atto qualsiasi dell'io, l'io sarà composto di più parti, non sarà uno; la coscienza, occupandone solo una parte, dovrà rimanere estranea alle altre parti, e quindi estranea a ciò che non è la coscienza, estranea alla porzione in cui l'io risiede, non pensante, ma sostanza. A che giova adunque la testimonianza sì spesso invocata della coscienza? essa esprime una contraddizione, e ci offre lo spettacolo di una facoltà che conosce l'io, e non lo conosce; lo scompone in parti, e lo vuole uno; lo abbraccia nel suo tutto, e ne è solo una parte.
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Proteo
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