Del resto, anche considerando il pensiero della mia unità come un errore, bisogna spiegare l'errore; bisogna render ragione di questo sentimento che abbraccia la totalità del mio essere, afferma la mia unità, e non è nè tutto il mio essere nè la mia unità. Da qual forza sarebbe egli spinto a mentire? Lo spiegare la sua menzogna costa alla logica quanto il creare un essere.
Il giudizio: io sono sempre lo stesso, succede a quello che afferma la mia unità, ed è un nuovo mistero. Esso si fonda sulla memoria che mi assicura del mio durare nel tempo, e la memoria è straniera all'io, è una prova che resta sempre fuori della cosa che deve provare, è un fenomeno assolutamente distinto dall'altro fenomeno che gli si contrappone, la durata dell'io. E che? si dirà, il ricordarmi d'aver esistito ieri potrebbe forse appartenere ad un altro individuo? Il durare delle stesse idee e d'una medesima memoria, non sarà forse la migliore prova della mia identità personale? La persistenza dell'io non sarà dessa la condizione che rende possibile alla memoria di durare e di manifestarsi? Questo ragionamento dimostra il perdurare dell'io, dimostrando altresì l'alterazione dell'io, la sua mancanza d'identità, e, se occorre, il suo annientarsi, il suo riprodursi. Dacchè il perdurare della memoria solo attesta la permanenza dell'io, l'alterazione, la perdita della memoria deve far supporre la diminuzione, la perdita dell'io. Nel fatto noi cambiamo, ci alteriamo; in alcune malattie dimentichiamo tutto il nostro passato; la nostra prima infanzia sta sempre separata da noi, dimenticata come se appartenesse ad un altro essere; e se durando la memoria prova l'identità dell'io, scomparendo prova altresì che il nostro individuo cambia.
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