Per sè stesso il deismo non avrebbe il diritto di qui fermarci, perchè noi critichiamo l'evidenza dei fatti, nè ci siamo proposti di esaminare alcuna ipotesi filosofica. Qualche volta i critici combattono l'esistenza di Dio dandole il valore che si concede alle cose della natura; e confutano ad un tempo i deisti ed i fisici: ma tanto varrebbe il sottoporre indifferentemente alla critica l'esistenza della Senna e quella dell'Averno. L'Averno è contraddittorio quanto la Senna, ma non è evidente, non appare; a che la critica? Lo stesso si dica di Dio: combatterlo quando si combatte la natura, è un voler inteso che esiste come la natura, è un transigere moralmente mentre si lotta logicamente. No, se noi sottomettiamo Dio alla critica, non è che lo crediamo evidente come la natura, ma è che dobbiamo rivendicare e mantenere tutte le contraddizioni che si pretendono conciliate dall'ipotesi di Dio.
Il deismo ci scopre il suo vizio nell'atto stesso in cui vuol costituirsi: esso deve cercare la dimostrazione del suo idolo, e la dimostrazione deve dare per risultato, non un'ipotesi, ma l'assoluto. Ecco l'errore. Voi dovete costituire l'assoluto; voi volete dimostrarlo, voi cercate la dimostrazione per trionfare di ogni contraddizione. Or bene, su che fondate il vostro assoluto? Su di una dimostrazione; la quale deve fondarsi sulla natura o sul pensiero, cioè su due mezzi già riconosciuti contraddittori e condannati dalla logica: dunque Dio avrà per base l'incertezza della nostra propria esistenza: la scienza infinita ed eterna avrà per base il dubbio universale.
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