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      - La dimostrazione dell'esistenza di Dio per mezzo delle idee, a prima vista sì semplice, sì rigorosa, dà per ultima conseguenza la cieca agglomerazione di tutte le tesi le più opposte della teologia. Il termine medio della perfezione si riduce ad un grossolano espediente; il sillogismo si sviluppa in due sensi in un modo contraddittorio; e la conclusione, lungi dall'evitare le contraddizioni del mondo, trasporta tutti i contrari nell'idea di Dio. Non potrebbesi comprendere la fortuna di questa dimostrazione che sedusse Descartes e Leibniz se le più grandi arditezze della metafisica non fossero in fondo veri atti di disperazione.
      La seconda prova dell'esistenza di Dio trae la sua forza dalla idea di causa, e prende il suo punto di partenza nella natura. «Ogni oggetto,» si dice, «suppone una causa; ogni causa suppone alla sua volta una causa anteriore, e si risale così di causa in causa senza che mai si possa trovare un termine al regresso. Ma essendo impossibile che si dia una serie infinita di cause finite, è necessario di supporre una causa infinita, Dio, che chiude la serie delle cause finite.» Appena possiamo dire che la prova per le cause abbia la forma della dimostrazione: essa si fonda su un'assurdità, e la riproduce in intero limitandosi a spostarla. Se trovasi assurdo di ammettere la riunione del finito e dell'infinito, se credesi contraddittorio di supporre che un numero di cause finite sia infinito, non è forse egualmente assurdo il mettere in presenza Dio e la natura, una causa infinita ed effetti finiti, in altri termini, l'infinito e il finito personificati in due esseri?


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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