Si compia adunque il ragionamento. Accetteremmo una tradizione mille volte più terribile di quella degli Ebrei, ma la provvidenza sarebbe sempre giustificata; il numero dei flagelli nel tempo e nella eternità sarebbe mille volte più grande; e sempre sicuri della bontà divina dovremmo attribuire il male alla ignota necessità che limita la potenza di Dio. L'avvenire nel tempo e nell'eternità sarebbe una decadenza progressiva, illimitata, infernale; e la provvidenza sarebbe sempre giustificata all'infinito, perchè nessuna sciagura finita, per quanto spaventevole sia, può diminuire d'un punto una bontà infinita, la cui potenza può restringersi all'infinito. Eccoci dunque dinanzi a un Dio che riunisce in una sola persona una bontà infinita e un'impotenza senza limiti: una misericordia immensa e una incalcolabile incapacità. Il bene e il male del mondo si conciliano; ma la contraddizione passa negli attributi di Dio, i quali riproducono quei due ideali della perfezione e della imperfezione che si sviluppano, combattendosi e intervertendosi a vicenda, nel nostro spirito.
Per un ultimo sforzo si vuol eludere la contraddizione tra la provvidenza e l'origine del male, riducendo il male ad una mera privazione. L'espediente è semplice; il male vien fatto eguale al nulla, e si scorre a traverso le difficoltà a forza di sofismi. Si mostra che lo scellerato si avanza verso il nulla, che lavora alla propria distruzione; si tracciano scene metafisico-fantastiche, in cui le nozioni del bene vengono svisate per istabilire poi la bizzarra equazione del male col nulla.
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