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      Il separare la teoria dalla pratica, malgrado l'autorità di Kant, si riduce al voler ingannarsi, ad una maniera di partito preso di non dar retta alla logica; nè possiamo imitare Descartes, che risolvette di essere buon cattolico e buon soldato nell'istante in cui il dubbio distruggeva ogni suo principio. La critica ha tolto anticipatamente la possibilità della pratica; di Dio non resta nemmeno l'apparenza; e la teodicea ci ha servito unicamente da macchina di guerra per confermarci nel dubbio.
      Trascuriamo le nostre critiche, la natura non ci offra più veruna antinomia, il pensiero sia una guida sicura; vedremo che non ci è dato di poterci governare da noi, e che ogni azione è moralmente impossibile.
      Qual è il motivo d'ogni nostra azione? La felicità è lo scopo della vita; ogni azione è suggerita da un interesse, siamo ragionevoli perchè vogliamo il bene. Ora, nel momento in cui cerchiamo la felicità, un principio opposto, il dovere, appare per imporci il sacrifizio di noi stessi: noi vogliamo essere felici, ma cerchiamo, ma preferiamo l'infelicità. Sarà per orgoglio, per vanità, per ambizione: la nostra virtù non sarà che la forma della virtù; pure è voluta, e cerchiamo il sacrifizio. L'interesse e il dovere, l'egoismo e l'ascetismo si contrastano le nostre azioni; la contraddizione è formale; essa mette alle prese tra loro il bene ed il male, la morale e la politica, il successo e il martirio. Il bene dell'egoista è il male dell'eroe, il male dell'eroe è il bene dell'egoista; la perfezione dell'egoismo consiste nel sacrificare ogni cosa a sè, quella dell'eroismo consiste in un'abnegazione, per la quale l'uomo più sublime, secondo l'evangelio, sarà quello che avrà più odiato se stesso.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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