Nell'ultima sua conseguenza, la teoria del piacere considera la virtù come un delitto, come un attentato contro il nostro destino; il perchè, i moralisti dell'antichità impugnarono l'onore, la gloria, la patria, la vita stessa indivisibile dal dolore. Ai nostri tempi l'uomo che diede al piacere i più splendidi precetti ripristinando le scienze occulte del medio evo, Carlo Fourier, dichiarò iniqua la moralità, empio il dovere. Ecco il sentimento del dovere irrompere nell'atto stesso in cui vien negato. La contraddizione rimane.
Il secondo vantaggio che si trova nella giustizia è la soddisfazione morale: qui il piacer fisico cede al piacer morale; e qui ricadiamo nel dilemma dei sentimenti. Per gli uni la vendetta è il piacere degli Dei, per gli altri nel perdono ci rendiamo simili a Dio. L'orgoglio della virtù trova la sua antitesi nell'orgoglio del vizio; qual'è il motivo di preferenza tra la soddisfazione morale e la soddisfazione immorale? Odo parlare della tranquillità del savio, della serenità del giusto; la sapienza, la giustizia sono esse sorgenti di felicità? Lo sono di dolore: il giusto sentesi trafitto da tutte le ingiustizie della società. Non parlo del martirio di Socrate o di Cristo; leggete Geremia e Rousseau; erano i più infelici fra gli uomini. Se possiamo esser felici col sentimento della benevolenza, che spesso somiglia al sentimento dell'amor proprio, non possiamo forse essere egualmente felici col deridere i nostri simili, col sentimento dell'ironia, colla tranquillità mefistofelica, che si fa giuoco della commedia della vita?
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