Senza fermarci a determinare quali possano essere i suoi precetti o i suoi articoli, egli è certo che essa non si manifesta che per oltrepassare l'evidenza. Se Dio, se il cielo, se l'inferno fossero posti innanzi a noi, se potessimo vedere cogli occhi, toccare colle mani, la potenza di Dio, il premio del cielo, le pene dell'inferno, il pensiero di resistere alla legge divina sarebbe sì assurdo, che nessun essere, angelo, uomo o demonio, non vorrebbe mai peccare. La fede sarebbe inutile: la sua missione non comincia che là dove l'evidenza scompare, là dove l'incertezza ci preme. La fede suppone che il cielo e l'inferno non sono certi; che la forza morale identificata con Dio, non è sicura, nè evidente; la fede suppone che il dubbio signoreggi il dramma della vita; in ultima analisi, la fede suppone che Dio abbia steso sull'universo un velo, che abbia voluto farsi indovinare dall'uomo. Qui Dio diventa un legislatore capzioso e feroce; illumina ed inganna; vuol essere obbedito, e ci angustia col dubbio, ci sospende tra il cielo e la terra, si fa giuoco del nostro credere, della nostra certezza; vera sfinge, propone il mistero della eternità, e precipita nel Tartaro i miseri che non possono penetrarlo. Qui, per un'ultima volta, la resistenza a Dio diviene legittima ed eroica diviene la resistenza di Edipo, la lotta dell'uomo che svelle l'ultimo arcano a un Dio sorto dall'inferno per ricacciarlo negli abissi del nulla.
Sogliono i moralisti innalzarsi a Dio perchè l'obbligazione morale non trova principio nel mondo; invocano la teodicea per incoronare la morale; tanto varrebbe compiere la teoria morale coll'apologia del vizio.
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