Che importa, dice egli, di saper il vero sulle qualità secondarie? Il senso deve limitarsi a dirigerci nella scelta del bene e del male; se crediamo che il dolce, l'amaro, il bianco, il nero sono nelle cose stesse l'errore è nostro, e non nuoce. Misera astuzia! vera sconfitta! Noi domandiamo che si spieghi l'errore, diventato impossibile, grazie alla sincerità di Dio, e ci si risponde: «I nostri errori non cadono se non sulle qualità secondarie, sono di poco momento». Non si tratta dell'estensione del nostro errore, si tratta del fatto dell'errore. Il senso ci inganna nella scelta degli alimenti, nelle malattie, nelle allucinazioni, nel pregiudizio universale, che attribuisce le nostre sensazioni alle cose; il dolce alle cose dolci, il bianco alle cose bianche; questi sono errori innumerevoli, quotidiani; sono errori spesso funesti e micidiali; come sono essi possibili? Descartes, continuando, ci assicura che certi inganni erano necessari alla economia della nostra macchina, che le illusioni di ottica erano inseparabili dalle leggi della visione. Resta però sempre che Dio ha permesso l'errore, che nella sua legislazione il falso si confonde col vero, che ci inganna per impotenza, che noi non sappiamo dove finisca l'inganno, e che infine l'errore imposto da un essere infinito può svilupparsi all'infinito. Sotto il predominio della logica tutto è falso.
Aggiungasi, che le verità sottratte da Descartes al dubbio universale, a quel genius aliquis che poteva ingannarci facendoci apparire l'illusione di un mondo che non esiste, si trovano in balia d'un'incognita che può di nuovo annullarle.
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Dio Dio Descartes
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