Gorgia dice: «La veritą non esiste; se esistesse, non potrebbe essere conosciuta; se fosse conosciuta, non potrebbe essere insegnata.» Perchč? per la ragione che sarebbe la veritą della distinzione delle cose. Per esistere, le cosedevono separarsi le une dalle altre; per nascere, per morire, per muoversi devono distare le une dalle altre. Dunque esistere č essere limitato, non-essere; conoscere č conoscere la separazione, il nulla, ciņ che non č; dunque la veritą sarebbe ciņ che non č; dunque non havvi nč veritą, nč cognizione, nč insegnamento. Gorgia ha ragione; il suo torto č di fermarsi all'essere e al non-essere: egli li suppone veri; dev'esser lecito di supporli astratti, apparenti, relativi. Invece di considerare l'essere nel cavallo, considerate il cavallo, cioč l'individuo, il genere, il corpo, le sue l'unzioni, la sua organizzazione; fate del cavallo una materia intelligibile, poi dite a Gorgia: L'essere e il non-essere non sono se non gli accessorj di quest'ente intelligibile: non si tratta di sapere se il cavallo sia o non sia, si tratta di riconoscere la nozione del cavallo, di accettarne tutte le conseguenze. Gorgia sarą vinto, la sua critica si fermerą, i dilemmi svaniranno, i sofisti cederanno il passo a Platone e ad Aristotele. Il primo si sottraeva all'essere e al non-essere coll'idea; il secondo coll'essenza. Il dogmatismo trionfava di una critica imperfetta.
Lo stesso dicasi di Protagora: come Gorgia, stabiliva un principio che facilmente s'interverte. «L'uomo,» diceva egli, «č la misura delle cose; tutto č relativo, tutto cambia, tutto si riferisce a me, alla mia maniera di vedere; il vero č nella mia mente, nella mia opinione; dunque tutto č vero, e l'errore non č.» Anche in questo ragionamento havvi un punto di partenza preconcetto, un punto dove la contraddizione č afferrata, ma limitata.
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