Col pretendere di verificar l'apparenza si finisce a considerarla come il segno, come l'indizio di una cosa sconosciuta: si pone cosģ un problema artificiale; per iscioglierlo si interroga la logica, e la logica risponde cercando l'identitą, l'equazione, il sillogismo tra il noto e un ignoto imaginario. Quindi le assurditą metafisiche, le apparenze che non appariscono, e da ultimo le contraddizioni eterne.
Se non si deve distinguere l'apparenza dalla realtą, la ragione vuole che non si abbia a cercare onde vengono le apparenze. I fenomeni appaiono, dunque sono. Cosģ i problemi sull'origine del mondo, sulla nostra propria origine, ci conducono a cercare i fenomeno al di lą dei fenomeni, e per conseguenza ci conducono a supporre un fenomeno ignoto, imaginario, che si suppone al di sotto di ciņ che appare. In questa ricerca noi siamo vittime della dialettica, perchč non abbiamo verun dato, verun punto d'appoggio. Donde viene il mondo? bisognerą dedurlo da ciņ che non č il mondo, da Dio o dal caos o dal nulla e in ogni modo generarlo assurdamente. Or bene, dite che il mondo viene da sč; appare, dunque č: la ragione non ha nulla a cercare, nulla ad apprendere al di lą dell'apparenza.
I fenomeni bastano a sč stessi, si provano da sč, in essi tutto č vero. Si cessi adunque dal cercare un criterio della veritą. Che sarebbe esso? sarebbe un principio, un'idea, un fatto, una regola unica, che dovrebbe dominare tutte le cose e tutti i pensieri. Tale dominio supporrebbe la possibilitą di trovare qualche cosa d'identico in tutti i fenomeni, di passare logicamente dagli uni agli altri, e ogni criterio finirebbe a condurci sotto l'impero della logica, nel regno della contraddizione.
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Dio
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