Galileo e Newton seguirono felicemente il consiglio: pure non distinte le due specie d'antinomie, la distinzione tra la fisica e la metafisica non è possibile, non è scientifica, è un tentativo empirico.
Si possono staccare dalla metafisica alcune teorie, alcuni frammenti di scienza; si può dissimulare per prudenza l'intervento temerario della metafisica nel regno dell'esperienza: finchè le due antinomie restano confuse, la critica lasciò una speranza, anzi ci condanna a sperare una soluzione, e conviene che la metafisica s'intruda nella fisica. Lo stesso vero, a contatto col falso, diventa errore. Perchè la fisica possa vivere, la metafisica deve perire; e non si spegne, se non colla generalizzazione compiuta della critica, che distingue per sempre le antinomie critiche dalle positive.
Se l'apparenza svela la verità, ne consegue che all'apparenza sola spetta di combattere l'errore, che nella sua sterilità la critica non combatte, non distrugge alcun errore, alcun'illusione, non si applicando se non a un dato fenomeno; per essa questo fenomeno è materialmente incontestabile, per ciò stesso che è concesso. Lo si pone come, e la critica lo accetta evidente; lo analizza, e ne cerca l'identità, l'equazione, il sillogismo. Il fenomeno esiste realmente? è veramente evidente? La critica lo ignora, non appartiene ad essa di verificare materialmente i fatti. Sia sottoposta alla critica l'esistenza di un animale, come l'aquila, la troverà contraddittoria; siale sottoposta la esistenza della fenice, la troverà egualmente contraddittoria, cioè finita e non finita, una e multipla, identica e variante, in relazione e senza relazione cogli altri esseri, ecc.
| |
Newton
|