Quindi Aristotele deve stabilire un individuo che non muta, che resta sempre lo stesso, superiore al suo apparire e al suo sparire. Aristotele deve stabilire un individuo fuori dell'individuo apparente, un'essenza indivisibile, un'entelechia, un'energia, un'anima. Eccoci di nuovo nel movimento metafisico, con un essere più vero del parere; l'individuo metafisico deve spiegare gli individui realmente apparenti, e i generi diventano meno veri, meno reali. L'individuo che appare in un genere, per Aristotele è l'individuo metafisico che si unisce alla materia, e la materia è il suo genere. Il bronzo è la materia della statua, il metallo è la materia del bronzo; quanto più generalizziamo, tanto più ci allontaniamo dalla verità. Giunti all'essere, siamo alla materia pura, che è l'essere in potenza, ma il non-essere in atto, come l'individuo metafisico (essenza) è un essere in potenza, e congiunto alla materia è un essere in atto. Platone trasportava le antinomie al sommo della scala de' generi; Aristotele le trasporta nell'identità dell'essere e del non-essere, al più basso della scala delle cose. D'onde lo spostamento? Sempre dalla necessità di sciogliere l'antinomia dell'individuo, che s'unisce a un genere. Di là l'individuo metafisico, più la materia generica; le quali due cose congiunte danno la più strana equazione dell'apparenza quale si presenta. Aggiungevasi così le contraddizioni nuove ed artificiali, dell'individuo metafisico e della materia generale, alle contraddizioni eterne dell'individuo e del genere realmente apparenti.
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