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      L'individuo sfuggiva ancora alla materia segnata, l'equazione era fallita; Duns Scoto lo fece osservare. «Se la materia», diceva egli, «è causa d'individuazione, laddove si troverà la stessa materia si troverà lo stesso individuo; e come la materia è la stessa «in generato et in corrupto, l'essere che nasce e l'essere che si corrompe saranno un medesimo oggetto: - la causa d'individuazione è causa di distinzione; ma la materia non è causa di distinzione, dunque non individualizza. - Le anime, gli angeli sono individui; sono essi materiali? No; dunque non è la materia che li individualizza.» La materia indeterminata distruggeva l'individuo, la materia segnata o misurata lo distrugge egualmente; bisognava dunque cercare altrove il termine medio che permettesse al genere di giungere all'individuo. Scoto inventò un nuovo espediente. «Il principio dell'individuazione,» secondo lui, «non è nè la materia, nè la forma, nè la quantità; è una proprietà individuale, un'ecceità.» L'universale esiste per sè, non è l'individuo, ma si contrae, diventa l'ecceità, forma un sol essere colla cosa, resta inseparato dalla cosa; esso è nella cosa, non in atto, ma in potenza prossima, potentia propinqua.
      Nel sistema di Duns Scoto la metafisica dell'individuazione tocca l'apogeo; è impossibile andar più oltre. Il dramma dell'individuazione scotistica comincia, si svolge e si compie al di fuori dell'apparenza. Per Duns Scoto il punto di partenza non era il genere apparente, era il genere d'Alberto Magno, un raggio dell'intelligenza divina.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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