La metafisica dell'essere progredisce di nuovo con Aristotele. I generi, dice egli, non ispiegano gli individui: non sono belli, nč buoni, nč attivi. Dunque il genere non č un principio. Solo l'individuo č principio primo; quanto pių ci allontaniamo dall'individuo, tanto pių ci allontaniamo dalla veritā; dunque il genere esiste meno dell'individuo, e l'essere, che č l'ultimo di tutti i generi, esiste meno d'ogni genere. Non basta; l'essere deve conciliarsi col non-essere; e Aristotele spiega ad un tempo l'apparenza dell'essere e la contraddizione del non-essere, mettendosi al di fuori dell'apparenza, creando una cosa nuova, un oggetto nuovo, la materia, che č l'essere in potenza e il non-essere in atto. Per uno strano rivolgimento toglieva cosė l'essere alla materia, mentre le dava la potenza. I neoplatonici si allontanano sempre pių dall'apparenza. Accordano ad Aristotele che l'essere non č bello, nč buono, nč attivo, che riducesi al genere dei generi, al genere di tutti gli esseri. Accordano a Platone che la bellezza, la bontā, la forza, svolgendosi nella serie de' tipi, si riassumono in un tipo perfettissimo. Il tipo e l'essere sono distinti; l'uno č Dio, l'altro l'esistenza di Dio: ma uno č Dio, una l'esistenza di Dio; dunque l'uno e l'altra sono nell'unitā, ne sono le ipostasi; ed ecco trasformato l'essere in un'ipostasi dell'Uno. La metafisica dell'essere vagava tra l'estasi e l'ineffabile; pių tardi, presso i santi Padri, presso gli scolastici, si confondeva colla formola della trinitā cristiana.
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