Alla caduta della scolastica la metafisica riprende il volo, oltrepassa il realismo ed il nominalismo; cammina sola, fatta astrazione dalla religione. Descartes entrò il primo nella nuova via. Io concepisco la perfezione, diceva egli, posso oltrepassarla all'infinito; vi aggiungo la nuova perfezione dell'essere, io concepisco un essere perfetto come possibile, dunque esiste. Questa dimostrazione dell'esistenza di Dio mescola la verità colla follìa: la verità sta nell'equazione dell'essere e del parere meravigliosamente afferrata nel genere di tutti i generi; la follìa sta nell'artificio, che moltiplica le perfezioni per fare dell'essere un Dio. Descartes non errava riducendo l'essere ad un'apparenza, ma errava dando all'essere la divinità. L'apparenza era nell'essere; Dio non era nell'apparenza, non era nella verità; era la soluzione imaginaria di tutte le contraddizioni della natura e del pensiero.
È superfluo il dire che, lungi dallo sciogliere antinomia alcuna, presso Descartes, l'essere supremo è in contraddizione con tutti gli esseri; solo può esistere, solo è sostanziale, solo necessario; da lui agli esseri non v'ha identità, non equazione, non deduzione. Descartes, che pretendeva di procedere per equazioni, fece emergere meglio degli altri metafisici che dall'essere non può dedursi veruna sostanza, verun atto, veruna creazione. Come mai un essere necessariamente uno, indivisibile, impassibile, necessario, universale, potrebbe trarre da sè la divisione, l'azione, la contingenza, l'individualità e la distinzione di tutti gli esseri e di tutte le sostanze?
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Dio Dio Dio Descartes
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