Apparenti quanto la natura, esse hanno diritto all'onore di signoreggiare la sostanza.
Queste considerazioni spinsero i filosofi del decimottavo secolo alla nuova impresa di spiegare l'essere e la sostanza quali concezioni dello spirito. Non si pensò più a dedurre il mondo dalla sostanza, a trarre il genere dall'individuo; si volle al contrario, il genere dedotto dall'individuo; la sostanza dalle sostanze, l'essere dagli esseri: al problema dell'individuazione fu sostituito quello della generalizzazione. Capovolgevasi l'errore con nuova metafisica. Se voi generalizzate, si è perchè i generi esistono; se classificate gli oggetti, si è perchè le classi esistono; senza i generi vedreste solo individui, senza la sostanza l'apparenza della sostanza non si offrirebbe all'intelletto, l'essere non si manifesterebbe in mezzo agli esseri. I filosofi del secolo decimottavo si credevano uomini molto positivi, osservatori della natura; avrebbero riputato vergogna il credere ai tipi, alle ecceità, agli angeli: combattevano fieramente la metafisica. Ma ignoravano la critica, consideravano le contraddizioni eterne quali errori dell'uomo, le volevano sciolte; erano logici, e la metafisica era una necessità del loro metodo e della loro ignoranza. Osservatori, non osservavano i generi; uomini positivi, non s'accorgevano essere il genere positivo quanto l'individuo. La preoccupazione di rendere ragione di tutto, conducevali a cercare un'apparenza che fosse prima; al suo cospetto le altre apparenze cessavano di essere quelle che erano, e si menomavano.
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