La rosa è come un animale, essa opera; grande o tenue nel suo sviluppo, mostra l'unità di un'essenza che domina la diversità materiale; assorbe la terra, sceglie le molecole, le coordina, le orna di qualità inesplicabili: da che riservate alle anime il privilegio di identificare, di subordinare ad un punto unico e indivisibile la pluralità de' fenomeni, è forza supporre un'anima in ogni rosa.
IL TEOLOGO.
Promettete voi il paradiso alle rose?
IL NATURALISTA.
Nè alle rose, nè a' teologi; ma se le anime esistono sono dappertutto, nell'uomo, nell'animale, nel fiore, nella pietra, nel cristallo, che suppone un principio dominatore, un principio che sceglie e ordina. Lo scegliere, l'ordinare, suppongono il dominare più cose ad un tempo, suppongono l'unità: fatale o volontaria, vivente o inanimata, l'unità si mostra nell'uomo come nell'animale, nell'albero come nel sasso. Quando il seme produce l'animale, l'essenza è una e indivisibile, opera fatalmente, come il seme che produce la quercia; quando l'animale vive, si sente uno come il filosofo che pensa.
IL TEOLOGO.
Voi non mi combattete: vedete le anime dappertutto; voi mi esagerate.
IL NATURALISTA.
Con questa differenza, che le mie anime sono indivise dai corpi, quando scompaiono confesso umilmente di più non sapere ove sono; di modo che in loro nome non fo male ad alcuno.
IL TEOLOGO.
Le vostre anime sono le essenze di Aristotele.
IL NATURALISTA.
No, sono fatti, apparenze indivise dai corpi, e quindi dalla materia.
IL TEOLOGO.
Esse formano le rose, i corpi; sono dunque le monadi di Leibniz.
| |
Aristotele Leibniz
|