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      La natura, soggiogando il pensiero, soggioga la logica e si rivela meccanicamente al nostro intelletto, riservandosi il segreto impenetrabile delle sue manifestazioni, delle sue qualificazioni, delle sue differenze, di cui non lascia giungere a noi se non l'essere o il non-essere.
      Noi vorremmo ogni nostro pensiero certo, come se il suo oggetto fosse materialmente dinanzi a noi; aneliamo alla percezione immediata, alla rivelazione immediata. Alcuni mistici sperano uno stato di perfezione, in cui il nostro occhio potrà penetrare nelle profondità dell'universo. La percezione immediata essendo ristrettissima, dobbiamo divinare, congetturare, supporre quanto sfugge alla vista; il percepire viene supplito col riflettere. Anche nella riflessione il movimento del pensiero rimansi lo stesso; procede meccanicamente dal presente all'assente, dal noto all'ignoto, dalle premesse alle conseguenze. Lasciasi guidare dalla rivelazione che domina la logica, colla differenza che non afferma più ciò che appare, ma ciò che deve apparire; non nega più ciò che dispare, ma ciò che deve disparire. Questa necessità per cui le cose non viste devono essere o non essere in un dato momento, non è se non la necessità della logica, che vieta a una cosa d'occupare il luogo occupato da un'altra cosa, di essere in due luoghi diversi; in una parola, di trovarsi in contraddizione colla propria rivelazione. Escludere la contraddizione positiva da un complesso di apparenze che non ci è dato verificare per una ragione qualunque: ecco la funzione del pensiero.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693