Il fanciullo impara ma il vecchio dimentica; gli esseri nascono, ma la morte li attende; la generazione e la corruzione si contendono alternamente tutte le cose della natura; anche già pervenuti alla verità, possiamo ripiombare nell'errore. La difesa contro l'errore potrebbe trovarsi solo nell'equazione esatta tra la riflessione e la realtà; tra i pensieri e le cose; qualora questa equazione fosse assicurata dall'altra equazione, in cui l'universo adeguerebbe l'essere, in guisa che il possibile stesso perisse vinta da ciò che è. Allora sì che l'alterazione sarebbe vinta nelle cose e nei pensieri, in noi e fuori di noi. L'universo sarebbe eguale alla pienezza dell'essere, la rivelazione sarebbe necessaria e logica quanto la logica stessa. Ma in qual modo trovare l'equazione dell'essere colla totalità dei fatti? Sarebbe 1'equazione dell'infinito colle cose finite, dell'infinitamente grande coll'infinitamente piccolo; non potendola raggiungere, voi permettete di supporla nel fatta, di seguirla nelle cose, quasichè fossero assolute. Quindi la fallibilità nell'uomo riappare necessaria: dinanzi all'avvenire la rivelazione resta incerta, cessa; l'avvenire è vuoto. Quindi le due idee del falso e del vero si ripresentano sole, divengono i due termini di un dilemma, e i motivi della scelta ci mancano. L'avvenire, rivelatore sempre nuovo, ci accuserà forse dell'errore? o sanzionerà, confermerà l'ordinamento attuale de' nostri pensieri? L'ignoriamo. Tutto è passibile, tutto impossibile.
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